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Il Mito di Fetonte




La Caduta di Fetonte -Jan Karel van Eyck pittore fiammingo

attivo ad Anversa e in Italia nella seconda metà del XVII secolo. È noto per i suoi paesaggi con villaggi e città con scene di genere. Viene anche citato come pittore di ritratti e scene bibliche




La Caduta di Fetonte



Perché ci sono le nebbie in val padana?Qual' è l' origine dei cigni ? E quale è l' origine dei pioppi e dell' ambra?

E perché gli Etiopi hanno la carnagione scura?


Il Mito spiega questo ed altro ancora .


Apollo chiamato anche Elios e Febo , aveva amato in gioventù la ninfa Climene regina di Etiopia quando gli etiopi erano ancora di carnagione candida e bianca .





Oceanina Climene



Ma poi lo aveva consegnato alla sorella Eos nei suoi palazzi (Aurora) che gli faceva da matrigna, mentre come patrigno aveva Cefalo sposo di Eos. I vicini pensavano fosse loro figlio.


A questo punto troviamo la tragedia.

Fetonte volendo affermare la propria origine prestigiosa tenuta segreta a tutti forse per motivi di sicurezza, cominciò a raccontare in giro di essere il figlio di Elios il dio sole .

Nessuno però gli credeva, anzi veniva schernito dai compagni che lo accusavano inoltre di voler fingere di essere più importante e di non accontentarsi di ciò che era.

Fu addirittura Epafo, un altro giovane dio dell’Olimpo, a sostenere che Fetonte non fosse in realtà figlio di Elio. “Stanco dei dileggi dei compagni di gioco – così ce la racconta Joseph Campbell, riprendendola dalle Metamorfosi di Ovidio – a proposito della sua paternità, Fetonte in lacrime si recò dalla madre vera Climene, per supplicarla di fornirgli una prova che il Elio era veramente suo padre.”



Voleva solo dimostrare che era veramente figlio di un dio e nessuno sospettava una tragedia .

Alla ricerca del Palazzo del Sole

Allora Climene, per calmarlo, disse al figlio di recarsi da Elio e chiedere a lui direttamente.

“Si mise in viaggio attraverso la Persia e l’India per trovare il palazzo del Sole – poiché sua madre gli aveva assicurato ch’egli era figlio di Elio, il dio che conduce il carro del Sole.

Il palazzo del Sole era posato su delle possenti colonne, ornato di bronzi e di ori che splendevano come fiamma.Fetonte raggiunse la dimora del genitore e scorse Elio assiso su un trono di smeraldo, circondato a destra e a sinistra dal Giorno, il Mese, l’Anno e il Secolo e poste a egual distanza le Ore. C’era la recente Primavera, la nuda Estate, c’era l’Autunno intriso di uva pigiata e il freddo inverno irti i capelli di neve. L’audace giovane dovette arrestarsi sulla soglia perché i suoi occhi non potevano sopportare tutta quella luce; ma il padre gli parlò gentilmente attraverso la sala.

“Perchè sei venuto? – gli chiese. “Cosa cerchi, o Fetonte, o figlio che il padre mai rinnegherebbe?”

Fetonte era davvero molto amato dal padre .

Concedimi, o padre mio, di dimostrare a tutti in qualche modo che sono veramente tui figlio.”

Il possente dio si tolse la corona splendente, ordinò al fanciullo di avvicinarsi, e lo abbracciò. Poi gli promise, suggellando la promessa con un giuramento, che avrebbe esaudito il suo desiderio.

“Questa richiesta”, disse il padre, “dimostra che la mia promessa è stata molto avventata.” Allontanò un poco da sé il ragazzo e cercò di dissuaderlo dal proprio proposito. “Nella tua ignoranza,” disse, “tu chiedi una cosa che non può essere concessa neppure agli dei. Tutti gli dei possono fare quello che vogliono, eppure nessuno, salvo me, può salire sul mio carro di fuoco, neppure Zeus.

Elio cercò di convincere Fetonte,

ma questi fu irremovibile.


Il Figliarcato

"Ma allora se tu non mi concedi quello che ti chiedo io ti disconosco come padre ."

Ovvero questa è l' interpretazione di Fulvio Stumpo autore di Uomini Eroi e leggende d' Acqua che ha fotografato un passato ed un moderno Fetonte con la Ferrari del papà.

- Allora il padre spalmò un sacro medicamento sul volto del figlio, perché tollerasse le vampe voraci, gli pose sulla chioma i raggi, e di nuovo emettendo sospiri d’ansia dal petto, presagendo sventura, disse: “Se puoi seguire almeno questi consigli di tuo padre, evita, ragazzo mio, di spronare, e serviti piuttosto delle briglie. Già tendono a correre di suo: il difficile è frenare la loro foga. E cerca di non tagliare direttamente le cinque zone del cielo. C’è una pista che si snoda obliquamente, con una gran curvatura, e resta compresa entro tre sole zone senza toccare né il polo australe, né l’Orsa dalla parte dell’Aquilone. Passa di lì; vedrai chiaramente le tracce delle ruote. E perché il cielo e la terra ricevano pari e giusto calore, non spingere in basso il cocchio e non lo lanciare troppo in alto nel cielo. Spostandoti troppo verso l’alto, bruceresti le dimore celesti; verso il basso, la terra. A mezza altezza andrai sicurissimo.

E bada che le ruote non pieghino troppo a destra, verso il Serpente contorto, o non ti conducano troppo a sinistra, giù verso l’Altare. Tieniti fra l’uno e l’altro. Per il resto mi affido alla Fortuna…”


Ma niente, Fetonte non fece a tempo neanche a pensare a cosa fare che i cavalli, sentita la mano tutt’altro che forte ed il peso leggero sul carro, capirono immediatamente che a guidarli non era Apollo ma uno sprovveduto.

E si lanciarono al galoppo…


Allora per la prima volta i raggi scaldarono la gelida Orsa, la quale cercò, invano, d’immergersi nel mare ad essa vietato ed il Serpente, che si trova vicino al polo glaciale e che prima era intorpidito dal freddo e non faceva paura a nessuno, si riscaldò e a quel bollore fu preso da una furia mai vista. Raccontano che anche tu disturbato fuggisti, Boote, benché fossi lento e impacciato dal carro tuo. Quando poi l’infelice Fetonte si volse a guardare dall’alto del cielo la terra che si stendeva in basso, lontana, lontanissima, impallidì, e un improvviso sgomento gli fece tremare le ginocchia, e in mezzo a tutta quella luce un velo di tenebra gli calò sugli occhi.


I punti più alti del pianeta cominciano a prendere fuoco, il suolo perde gli umori, si secca e si fende, i pascoli si sbiancano, alle piante si bruciano le fronde, e la messe inaridita fa da esca al flagello che la divora. Ma questo è niente. Ecco che grandi città van distrutte con le loro mura e gli incendi riducono in cenere intere regioni con le loro popolazioni.


Dicono che fu allora che il popolo degli Etiopi, per l’affluire del sangue a fior di pelle, divenne di colore nero; fu allora che la Libia, evaporati tutti gli umori, divenne un deserto.

Il Nilo fugge atterrito ai margini del mondo e nasconde il capo, che non si è più riusciti a trovare;

le sue sette foci restano asciutte, polverose: sette letti senz’acqua.


Fu la madre terra a pregare Zeus di porre fine a quella tragedia, e il padre degli dei, chiamati a raccolta tutti, spiegò che se non fosse intervenuto l’intera terra sarebbe morta. Preparò la sua folgore e colpì in pieno Fetonte, che precipitò in fiamme come una stella cadente dal carro, finendo senza vita nelle acque dell’Eridano. (Quel fiume che oggi alcuni

individiano nel Po , altri nel Reno )

In esso lo ritrovarono molto dopo gli Argonauti, ancora fumante. Emanava un olezzo nauseabondo tale che anche gli uccelli che sventuratamente vi passavano sopra morivano all’istante (pare che l’espressione “odore fetente” derivi da questo mito…). Le Eliadi, sorelle di Fetonte, si radunarono sulle rive dell’Eridano piangendo il fratello fino a che non si trasformarono lentamente in pioppi e le loro lacrime divennero ambra. Anche un altro amico di Fetonte, Cicno, lo piangeva sulle sponde, fino a quando gli dei si impietosirono del suo dolore e lo trasformarono in un candido uccello, il cigno.


Termina così la triste storia di Fetonte, ragazzo imprudente che non volle ascoltare i consigli di un dio e pagò la sua inesperienza ed i suoi danni con la propria vita.




È incredibile quanto sia stata diffusa questa favola nei palazzi nobiliari dagli artisti che lo hanno rappresentato ,ma

cosa ci dice questo mito e perché è così attuale? "La caduta di Fetonte combina un disastro non solo per sé ma anche per l’umanità:

asciuga i fiumi, brucia le foreste, incendia il suolo, nasce il deserto - dice Schmidt - (Eike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi di Firenze dove, tra l’altro, si trova il più famoso sarcofago romano che rappresenta il mito di Fetonte).. Se pensiamo alla crisi climatica e ai disastri ecologici di oggi, il mito ci fa riflettere e ci mette in guardia".

L’equilibrio del cosmo viene dunque messo in discussione dall’incapacità di Fetonte di guidare il carro. E di causare un super incidente da incendiare il mondo. I guai creati da Fetonte sembrano così essere arrivati fino a oggi, attraverso l'insipienza dell’uomo che ha guidato il carro in maniera sbagliata, esagerando. Se l’umanità non avesse ripetuto l’errore di Fetonte, oggi forse non ci troveremmo .....

Tutti noi abbiamo un carro da trainare e non possiamo tenerlo parcheggiato ,

ma questa metafora sta per ricordare a tutti che quando bisogna prendere decisioni importanti per la collettività, occorre farlo con il massimo della saggezza.




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